Non sono madre, non sarò madre. E non voglio essere giudicata

Libere di non volere figli. Una decisione, non una rinuncia. Un’assunzione di responsabilità e non per leggerezza. Perché non interessate a occuparsi di un’altra persona. Così si raccontano le francesi. 

La Francia resta uno dei Paesi europei dal più alto tasso di natalità, 1,88 figli per donna secondo le ultime cifre dell’Insee (l’istituto di statistica) pubblicate a gennaio (la Germania si ferma a 1,5, Italia e Spagna a 1,3). Ma negli ultimi anni le nascite hanno cominciato a diminuire, e se la società francese continua a premiare le famiglie che in Italia sarebbero considerate numerose e straordinarie – quelle con più di tre figli -, si fanno sentire più spesso le voci delle donne che preferiscono slegare il loro destino dalla maternità. Qualche giorno fa il sito del quotidiano Le Monde ha invitato le lettrici che hanno deciso di non avere figli a scrivere le loro testimonianze. Ne sono arrivate tantissime, con un tono tra il rivendicativo e il liberatorio. La pressione sociale è ancora forte sulle donne perché assolvano al compito primordiale di assicurare la continuazione della specie. Così quelle che scelgono di dedicarsi ad altro sentono il dovere di giustificarsi, spiegarsi, motivare una scelta che l’ambiente circostante continua in maggioranza a considerare «contro-natura».

Eppure, gli argomenti sono semplici e forti. A partire da quello che dà il titolo all’articolo, «Non voglio preoccuparmi tutta la vita per un’altra persona». E ancora: «Da sempre, sento che la maternità non è una cosa per me, e un numero sempre maggiore di persone della mia generazione rimettono in causa l’ordine naturale delle cose», dice Virginie, 28 anni. Un paio di generazioni fa una donna che decideva di non avere figli faticava a trovare comprensione, ancora di più donne che avessero fatto la stessa scelta. I social media hanno rotto l’isolamento, Facebook e Twitter aiutano a mettersi in contatto e anche in questo modo cresce la voglia di rivendicare la scelta, unita a una forma di irritazione verso quanti si permettono di giudicare. «È un atteggiamento universale, tutti mi chiedono perché mai io non voglia avere figli, e aggiungono ”cambierai idea quando incontrerai la persona giusta”. Ci trattano come dei bambini», dice Cécile.

Chi fa figli, o almeno ci prova, non deve mai motivare la sua scelta perché è considerata logica. Una coppia sposata o stabile a un certo punto «deve» desiderare dei bambini, questo prevede il dogma sociale. Forse le lettrici della 27esima ora potrebbero dare il loro contributo e raccontare se anche in Italia accade lo stesso La sensazione è che anni di bassa natalità abbiano reso la ritrosia a fare figli un atteggiamento non così eccentrico. Le ragioni possono essere molte, in Italia la crisi economica si è fatta sentire in modo più duro che in Francia e da molti più anni, e la rete di assistenza famigliare che caratterizza i Paesi dell’Europa del Sud fatica ormai a fornire lo stesso aiuto che, bene o male, lo Stato francese continua ad assicurare alle madri. Ma al di là delle ragioni pratiche ed economiche, ci sono considerazioni personali, esistenziali, filosofiche per le quali non fare figli appare ragionevole tanto quanto farli. Un tempo, in epoca pre-anticoncezionali, i figli arrivavano perché così volevano la natura e dio. Ma adesso?

La possibilità di scegliere comporta il fardello della responsabilità. Il più celebre dei filosofi anti-natalisti contemporanei è il sudafricano David Benatar, che nel 2006 ha pubblicato una sorta di libro-manifesto, «Better Never to Have Been: The Harm of Coming Into Existence». «Le persone di buona volontà fanno di tutto per risparmiare sofferenze ai loro bambini – sostiene Benatar nell’introduzione -, ma poche di loro sembrano accorgersi che l’unico modo garantito per evitare dolori ai figli è, prima di tutto, non metterli al mondo». 
Anche senza arrivare a un simile pessimismo cosmico, una donna può scegliere di non fare figli semplicemente perché preferisce dedicare tempo all’amore (non materno), alle serate tra amici, ai libri o a qualsiasi altra passione o interesse, più che ai pannolini e alle poppate e all’educazione di un altro essere umano. 

Ma è possibile scegliere liberamente, senza riprovazione sociale? 

Fonte: 27esimaora.corriere.it