Ha ragione il professor Carlo Flamigni, membro del comitato nazionale di bioetica, quando dice che bisognerebbe «occuparsi di come si sta trasformando il concetto di genitorialità» piuttosto che della crescita, impressionante, delle mamme cinquantenni. Eppure i due temi si tengono.
Ed è difficile analizzarli distintamente ignorando che le mamme italiane sono le più vecchie d’Europa (32,5 anni) e che le gravidanze delle ultra-quarantenni sono triplicate nel giro di due lustri. Esattamente come quelle delle mamme-nonna. Donne in genere altamente scolarizzate, che hanno avuto il primo figlio dopo mezzo secolo di vita. A poche fortunate lo ha concesso un fisico generoso. Per le altre ci hanno pensato la tecnica e la donazione di uova giovani, materia prima destinata a essere sostituita da perfetti succedanei sintetici. C’è una rivoluzione in corso. E distruggerà duemila anni di convinzioni e di impliciti culturali, consegnando la riproduzione della vita agli uteri artificiali se non addirittura a Uomini Nuovi, esseri umani venuti al mondo senza bisogno di ovociti e di spermatozoi, di un padre e di una madre. Secondo i genetisti americani succederà entro il 2040. E dunque? Andiamo con ordine, partendo dall’oggi.
«Sa quante sono le possibilità di diventare naturalmente mamma a 50 anni?». No. «Due su un milione. E già dieci anni prima della menopausa la fertilità si riduce drasticamente». Eppure i dati Istat raccontano che le neo-madri ultra-cinquantenni erano 84 nel 2001, 265 nel 2012 e 295 nel 2015. E che il solo 2016 ne ha contate quasi una al giorno. Curioso in un Paese che nei documenti ufficiali definisce «primipara attempata» una aspirante neomamma di 27 anni. «A 20 anni la vita è un viale alberato. E le possibilità di non avere un figlio sano sono una su 1760. A quaranta le possibilità di non avere un figlio sano sono una su 93», dice Flamigni.
Il tempo pesa. Sul corpo e sulla psiche. E dopo la battaglia persa dei genitori di Casale Monferrato – 75 anni lui, 63 lei – per impedire l’adottabilità del figlio di sette anni allontanato dalla famiglia nel 2010, il dibattito si è fatto velenoso: la maternità è un diritto? E che vite avranno i bambini di coppie che invece di pensare al futuro sembrano impegnate a smaltire egoisticamente il presente?
Ectogenesi
A Cattolica il professor Carlo Bulletti, direttore della Unità Operativa di Fisiopatologia della Riproduzione dell’Ospedale Cervesi, ha appena finito di visitare una paziente di 48 anni. Vuole un figlio? «Sì». Possibilità? «Con la fecondazione omologa 0,01 su cento». E allora? «Ci proverà lo stesso. L’idea di trasmettere il proprio dna alla fine diventa più forte di tutto». Il tentativo primitivo, eppure ingenuo, di dominare gli eventi anziché esserne vittima.
Quando il corpo è sano la maternità può essere gestita senza grossi problemi anche con mezzo secolo sulle spalle. Farlo con le proprie uova è quasi impossibile. Ma con una donazione è relativamente facile. In Italia un decreto del ministro Lorenzin ha innalzato da 43 a 46 anni la soglia per la quale è possibile chiedere a una struttura pubblica la fecondazione sia eterologa che omologa. Passati i 46 anni restano i privati. Che, in base a una moratoria internazionale, tendono a fissare come limite ultimo per l’intervento i 51 anni, l’età media della menopausa. «E’ una convenzione ragionevole. La sterilità è a tutti gli effetti una malattia che crea sofferenza psicofisica. Dunque va curata. Se una donna si innamora a 44 anni e decide di mettere su famiglia, con che diritto glielo si può impedire? Però mi creda, questi discorsi sono obsoleti e spariranno presto come lacrime nella pioggia».
Bulletti non è un ginecologo qualunque. È uno dei pochissimi scienziati al mondo in grado di creare un utero artificiale. Il primo esperimento lo fece a metà degli Anni 80. A Bologna. E nell’89, in collaborazione con Flamigni, realizzò la prima gravidanza attraverso un utero (ottenuto da una isterectomia) collegato a una macchina cuore-polmoni. Life magazine gli dedicò un articolo di 20 pagine dal titolo: The future and you. Uno dei tre embrioni trasferiti nell’utero si impiantò resistendo per due giorni e mezzo poi Bulletti e Flamigni decisero di fermarsi travolti dalle polemiche. L’Italia non era pronta. Forse non lo era il pianeta. Gli studi furono ripresi dagli americani e dai giapponesi che facendo esperimenti sulle capre non sono lontani da realizzare quella che gli scienziati chiamano «ectogenesi». Gli svedesi nel frattempo hanno realizzato il trapianto di utero. Solo lo scorso anni ne hanno fatti quindici. Le procedure però sono lunghe e costose. Difficili da replicare. «L’utero artificiale è il prossimo passo. Io stesso sto cercando i fondi per realizzarlo. In dieci anni posso essere pronto». Mostra il progetto sul pc. «La scienza va avanti. E non si può trascurare che ogni anno nel mondo ci sono tre milioni e centomila bambini che muoiono prematuri. Con l’utero artificiale non succederebbe. Certo il rapporto tra marito e moglie sarebbe stravolto. Immagina una società in cui la donna non ha il peso della gravidanza?».
La femminista Evie Kendal autrice del libro «Equal opportunity and the case for state sponsored ectogenesis» non solo la immagina, ma addirittura la auspica. Quanto ci metterebbe a passare un’idea del genere da noi? Il professor Flamigni sostiene che nell’89 l’esperimento si fermò perché la reazione dell’opinione pubblica fece paura. Ma per Bulletti i tempi sono cambiati. «Il nostro direttore sanitario di allora, il professor Zanetti, dopo l’esperimento mi chiamò e mi disse: Bulletti, questa volta siete scivolati su una boazza». In realtà Bulletti e Flamigni avevano acchiappato un lembo di futuro e l’avevano trascinato in un mondo che non era ancora pronto ad accoglierlo. Ma quel futuro è adesso.
Lo sforzo fisico
I cambiamenti avvenuti negli ultimi 60 anni hanno ribaltato convinzioni millenarie. L’avvento della contraccezione recise il legame tra sessualità e procreazione. La fecondazione in vitro ha scardinato il rapporto tra maternità ed età. L’utero artificiale alzerà ancora la soglia. Moltiplicando per mille i casi come quello di Casale Monferrato. «Una storia che mi ha lasciato perplesso. Si può immaginare un pianeta fatto soltanto da genitori giovani e belli che abbiano superato un esame psicologico?», dice il professor Luigi Fedele, responsabile del Centro di riferimento per lo studio e il trattamento delle anomalie congenite rare dell’apparato genitale femminile della clinica Mangiagalli di Milano. Anche lui, come Bulletti, l’ultima visita della giornata l’ha fatta a una quasi mamma-nonna. «Una signora di 54 anni». Ma non c’è il limite morale dei 51 anni? «C’è. Ma è arrivata dalla Spagna. D’altra parte ci sono posti negli Stati Uniti dove puoi anche scegliere il donatore». Il mondo è piccolo, i confini labili e non esiste un codice condiviso di regole. Morale? «Le mamme cinquantenni, se non hanno problemi fisici, spesso sono migliori delle mamme ventenni proprio perché più consapevoli. Ma, quando i figli adolescenti avranno bisogno di loro, che cosa succederà? Avranno la disponibilità fisica e mentale necessaria? Ci vorrebbe un po’ di buonsenso. E la capacità di vedere le cose in prospettiva».
Anna e Silvia
Anna Mancini e Silvia Vasta sono convinte che la felicità sia un privilegio delle donne risolute. Nella casa di Firenze Anna mostra con orgoglio la foto con i tre gemelli appena avuti. Due femmine e un maschio. Per lei sono i figli numero cinque, sei e sette. I primi tre li ha avuti dall’ex marito. Sono arrivati prima dei 24 anni. Michael, il primogenito, è morto quando ne aveva 17. Un incidente in motorino. «Se sono andata avanti è stata per le altre due figlie». Poi ha conosciuto un altro uomo e ha cominciato un’altra vita. A 42 anni è arrivato il quarto bimbo. E a 49 è rimasta ancora incinta. «Tutto naturale, lo giuro». È lei uno dei due casi su un milione. «A 24 anni ero inconsapevole. Ora so che cosa significa essere mamma». E sa anche che cosa significa mantenere una famiglia. Il compagno è disoccupato. «Faccio l’impiegata e guadagno 1600 euro al mese. È faticoso. Ma siamo felici. Mia aiutano la mia mamma e mia cognata. Ce la facciamo. E se mi dessero un figlio in affido prenderei anche quello». Non ha paura che le manchi la forza? «Mi guardi, sono in gran forma». Vero. E tra dieci anni? «Vedremo. E poi i piccoli hanno le sorelle».
Silvia Vasta invece diventa mamma di Ludovica questa mattina a Roma. Compirà 50 anni a maggio. Ed è al suo primo figlio. Fecondazione assistita. Ma una volta sola. «Molte donne fanno i figli tardi perché non hanno la possibilità di farli prima. Io invece no. Ho scelto di fare un figlio quando ho smesso di sentirmi inadeguata». Silvia lavora all’Aci, il marito Roberto, che ha 52 anni, all’Anas. «Siamo sempre stati bene assieme. E di sicuro non cercavamo una compensazione. A un certo punto abbiamo avuto la consapevolezza di poter dare. Qualcuno ci dirà che siamo dei genitori nonni. Lo accetteremo». Felice? «Come non mai». «I parametri di oggi sono sorpassati. Presto potremo vivere fino a 120 anni. E poi si avvicina l’era dell’uomo nuovo», ripete Bulletti. Ovvero?
L’uomo nuovo
In maggio duecento genetisti statunitensi si sono ritrovati in gran segreto alla Harvard Medical School di Boston. O meglio, avrebbero voluto farlo in segreto, perché il «New York Times» li ha scoperti e ha svelato il motivo del loro incontro: la possibilità di rifare da zero il genoma, e dunque di dare vita a essere umani che non abbiano né padre né madre. Generazioni di uomini e donne programmabili per essere guerrieri o intellettuali. Il passaggio in una dimensione apparentemente impensabile. Eppure a disposizione. La tecnica è pronta. Ci vorrebbero meno di vent’anni. E dunque? Quando l’incontro è venuto alla luce i genetisti si sono affrettati a dire che non sono pronti a superare quella soglia. Ma la domanda è: i cinesi avranno gli stessi scrupoli?
«Al momento mi accontenterei di un codice etico per chi si occupa di eterologa», dice il professor Fedele. «La vita si è allungata, ma il benessere non va di pari passo con gli anni guadagnati. Penso anch’io che come ci sono i pomodori che non marciscono ci saranno gli uomini geneticamente modificati. Ma non è un mondo che mi fa simpatia». Ha l’aria di domandarsi chi sia il cineasta del nostro inconscio collettivo e che cosa abbia in mente per la prossima scena.
Fonte: lastampa.it