Chi si occupa dei figli appena nati? In Italia, la domanda è retorica. Nelle coppie, sono da sempre le donne a farlo mentre gli uomini continuano a lavorare. Sono le donne che restano a casa, mettono tra parentesi la propria carriera, sono penalizzate a livello salariale, talvolta perdono anche il posto. È così. È un’abitudine. È un’evidenza.
Nonostante non ci sia nulla di ovvio o di evidente e, all’estero, le cose vadano diversamente già da molto tempo. Forse perché gli uomini hanno pian piano imparato che la parità non è solo una parola vuota, ma una regola di condotta. Forse perché c’è meno paura che la virilità venga compromessa dall’accudimento dei figli.
Forse perché le donne hanno progressivamente imparato che le relazioni di coppia restano asimmetriche fino a che entrambi i partner non condividono esattamente gli stessi diritti e gli stessi doveri, gli stessi oneri e le stesse gioie. Allora ben venga, in Italia, la proposta avanzata ieri da Tito Boeri di rendere obbligatori 15 giorni di congedo di paternità nel primo mese dalla nascita di un figlio. Almeno, anche in Italia, la si smetterà di considerare automaticamente le donne con figli come un costo per le aziende oppure di appiccicare addosso alle madri che continuano a lavorare l’etichetta di “ cattive madri”.
Almeno, anche in Italia, gli uomini si sentiranno responsabilizzati, e finiranno col prendere sul serio il “ lavoro” di padri. Una misura giusta, quindi. Cioè. Se non proprio giusta, almeno necessaria. Visto che talvolta, affinché la mentalità e i costumi di un paese evolvano, è necessario passare attraverso l’obbligatorietà della legge.
E la libertà individuale? E le scelte che ognuno di noi deve poter fare in maniera autonoma senza che lo Stato venga a spiegarci quello che è bene o meno fare?
Certo, le obiezioni che possono essere sollevate quando si parla di “ obbligatorietà” sono numerose. E non è un caso che una donna come Emma Bonino, da sempre sensibile a ogni forma di ingerenza statale sulla vita privata, abbia reagito negativamente alla proposta del presidente dell’Inps. Non sono sicura, però, che questa volta si tratti realmente di “ dirigismo”, per utilizzare l’espressione usata da Emma Bonino.
I “ margini di contrattualità” che esistono all’interno di una coppia sono sempre legati ai “ margini di contrattualità” che caratterizzano un’epoca o una cultura, un contesto sociale o una condizione economica.
Quale margine di manovra ha oggi in Italia una madre? Quale potere contrattuale ha una donna incinta nei confronti del proprio datore di lavoro? Di quale autonomia gode quando il marito o il compagno non prendono nemmeno in considerazione la possibilità di domandare un congedo di paternità, perché non è questo che si fa, non è questo che ha fatto il padre, non è questo che fanno i colleghi? In fondo, come spiegava l’amico di Montaigne, Etienne de la Boétie, è solo nel momento in cui le condizioni permettono l’esercizio della propria libertà che si è realmente liberi. E nonostante ogni essere umano abbia vocazione ad agire liberamente, quando non ha conosciuto altro che la servitù è volontariamente che si sottomette. È una questione di abitudine, appunto. Un’abitudine che, talvolta, può cambiare solo grazie all’obbligatorietà della legge.
Certo, non sono 15 giorni di congedo di paternità obbligatoria che metteranno fine alle discriminazioni o insegneranno agli uomini l’importanza del proprio ruolo genitoriale, esattamente come non sono le quote rose che risolvono il problema della parità di genere.
Come spiegava Montesquieu, quando si vogliono cambiare i costumi di una società e modificare i comportamenti delle persone, si deve agire soprattutto a livello culturale. Ma non c’è anche il potere simbolico della legge che contribuisce a rimettere in discussione ataviche e inutili “abitudini”?
Fonte: repubblica.it