Si declinerà, d’ora in poi, al plurale: non più famiglia, ma famiglie. Sarà così in tutti gli atti della città, dall’ultimo modulo per l’iscrizione all’asilo nido alla delibera in cima all’ordine del giorno del consiglio comunale.
L’obiettivo della sindaca Chiara Appendino e della sua giunta è fare di Torino un “Comune plurale”, che comprenda anche nel linguaggio utilizzato quotidianamente dall’amministrazione qualunque tipo di unione, non solo quelle tra persone dello stesso sesso, ma anche quelle civili, anagrafiche, di fatto, ricomposte.
“Il passaggio dal concetto di famiglia a quello plurale di famiglie negli atti dell’amministrazione – dichiara il neo assessore alle Pari opportunità, Marco Alessandro Giusta – non è solo una questione nominalistica, ma un cambio di approccio che consiste nel dare un nome alle cose, a quelle realtà che già esistono e che non trovano un riconoscimento nemmeno nel linguaggio”.
Non solo quindi il Comune terrà conto del genere maschile o femminile, seguendo l’esempio del “sindaca” scelto per sé – e stampato in calce al primo decreto con cui ha nominato i suoi assessori – da Chiara Appendino, ma compirà un passaggio ulteriore, come dimostra il primo atto dalla valenza tanto simbolica, quanto politica assunto dalla nuova giunta l’altro ieri, cioè la correzione della dicitura che sinora aveva sempre contraddistinto la delega assegnata proprio a Giusta: anziché alla Famiglia, sarà assessore alle Famiglie. Al plurale.
Una piccola rivoluzione linguistica cominciata in sordina che non a caso vede in Giusta, fino all’altro ieri presidente dell’Arcigay torinese, il proprio paladino. “Si tratta di un mutamento di approccio, che però – tiene a precisare – riguarda migliaia di famiglie, non soltanto quelle omosessuali”. Anche se nel programma con cui la sindaca Appendino è stata eletta è prevista la modifica dello Statuto della Città, per introdurre il riconoscimento formale del concetto di “famiglia omogenitoriale”.
Se questo corrisponderà immediatamente all’introduzione, come già avviene in altre città, ad esempio Bologna, della dicitura “Genitore 1” e “Genitore 2” sui moduli scolastici o sugli altri atti che riguardano le famiglie con figli, non è ancora del tutto chiaro: “È un’ipotesi che si potrebbe valutare, ma su cui nulla è ancora stato deciso”, chiarisce l’assessore Giusta, il quale aggiunge: “Non c’è nessuna volontà di fare stravolgimenti, ma semplicemente di assumere un approccio che porti progressivamente a dare un nome alle cose. Questo è già di per sé significativo”.
La svolta “plurale” del Comune è stata salutato con soddisfazione dal radicale ed ex vicecapogruppo del Pd, Silvio Viale, che lo definisce “il primo atto anticlericale di Appendino”.
“Il plurale era maturo da tempo, l’unico rammarico – aggiunge – è che non sia stato fatto prima, perché si è dato retta troppo alla Curia. Può sembrare un puro puntiglio grammaticale, ma segna un profondo segnale di rinnovamento culturale, per cui mi aspetto che anche l’arcivescovo Cesare Nosiglia lo colga positivamente”.
Fonte: torino.repubblica.it