Stupro su Facebook, ecco cosa si dicono gli uomini che umiliano le donne

Prolificano sui social i gruppi chiusi dove vengono postate le foto quotidiane all’insaputa delle vittime. Che vengono date in pasto ai commenti degli amici.

Sono tutti gruppi Facebook chiusi, a iscrizione e l’unico modo per introdursi è quello di fingersi uno di loro. Un “vero maschio” che parla come un giornale porno anni ‘70 e per cui la parità tra i sessi è la più grande mistificazione. Eccoci precipitati nel gorgo dell’ultra-misoginia 2.0. Il gruppo Cagne in calore conta oltre 18 mila iscritti. Christian C. B., un libero professionista di Reggio Emilia che come tanti nemmeno prova a camuffare il suo nome e cognome autentico, come se non ci fosse nulla di sbagliato in quello che fa, scrive: “Come dorme la mia dolce metà! Cosa ne dite?”. E posta una foto della sua compagna immortalata a sua insaputa mentre sonnecchia, in mutandine, con le lenzuola scostate. Si accende la rituale canea di commenti. Sostiene un certo Danilo: “Se vuoi vengo a darti una mano, e mentre me la faccio (…): vedrai che dopo i primi colpi comincia a godere come non ha mai goduto”. A inizio anno è stato rimosso il gruppo francofono Babylone 2.0: migliaia di uomini vi condividevano foto delle loro presunte conquiste, corredate da testi oltraggiosi e sessisti. La notizia ha fatto il giro del mondo. Ma di gruppi simili ne esistono a decine soltanto in Italia. Nascono e rinascono in continuazione. Uomini che umiliano le donne sfruttando l’effetto gogna sconfinata dei social network. Uomini che bersagliano le donne con epiteti rancidi e vili. Quando le nostre mogli, figlie, amiche sono al mare o in palestra, in ufficio o alla stazione, un numero considerevole di insospettabili sta lì a fotografarle di nascosto per riversare le immagini sul loro Facebook parallelo. Scatti normalissimi, spesso a figura intera e col viso scoperto; istantanee di quotidianità rubate anche dalle pagine social, che rimbalzano di bacheca in chat e infine su Whatsapp. Basta poco per trasformare un semplice selfie in un pretesto di lapidazione morale. In un gruppo dal nome tragi-grottesco (Seghe e sborrate su mie amiche)  Giovanni S. un ragazzo piemontese dall’aria perbene, posta l’immagine di una ragazza comune in jeans e canotta che commette però l’impudenza di sorridere: “Labbra da pompinara da riempire” è il suo pensiero istantaneo. Come se la sua unica colpa fosse quella di essere una donna: una merce sempre in fregola e sempre in saldo sotto la scorza di fuorviante normalità. Qualche tempo fa lo stesso Giovanni aveva condiviso un articolo sul suo account personale Facebook che sensibilizzava contro la violenza sulle donne. Oppure sono scatti privati, inviati in buona fede ma dati poi in pasto con l’inganno a una marea di sconosciuti. Gigi P. da Palermo ama scambiare momenti intimi della sua fidanzata “con chi mi fa vedere la propria”. Lo contattiamo. Quanti anni ha la tua ragazza? “Venti”, e ci sfodera un ricco album di suoi primissimi piani anatomici. “Ma lei lo sa?”. E lui: “Ovvio che no. Pubblico in giro le foto che lei mi manda per eccitarmi”. Pure Flavio F., un impiegato di Torino, vorrebbe scambiare “figurine di famiglia” con noi: “Ti mando foto della mia amante, della mia ex o delle mie amiche. Dipende da come mi contraccambi”. Nel gruppo Zozzoni e Zozzone quasi hot (7 mila iscritti) tale  Frank Jo Jo C., che nella vita gioca a calcio a livello professionistico, inserisce uno scatto della moglie a bordo piscina e un po’ si strugge: “Sto cercando di coinvolgerla con un altro uomo, ma non è facile”. Gli viene in soccorso Pierpaolo (“Dammi il numero così la chiamo”). Ma Frank non si dà pace: “è troppo seria purtroppo”. Certe volte la molla scatenante è invece una turpe vendetta da consumare gettando fango su qualche vecchia fiamma. Qui siamo dalle parti del “revenge porn”, come nel drammatico caso di Tiziana Cantone. In La esibisco, foto amatoriali e avvistamenti (un’altra stanza Fb blindata amministrata da Sabatino B, autotrasportatore di Civitavecchia e Pietro M, catanese con tatuaggi e sopracciglia ad ali di gabbiano) si produce, ad esempio, Marco Claudio: “E che ne dite di questa che per otto anni me la sono scopata? Se c’è qualcuno interessato, in privato posso dire dove può trovarla”. La cessione di un diritto feudale. Ci spostiamo nel gruppo Mogli e fidanzate Napoli esibizioniste e troie, 15 mila fedelissimi. Ralph M. mette all’asta sua sorella e i convenuti intraprendono la consueta geolocalizzazione del tesoro. Perché il fine ultimo è la caccia reale alla preda. Si cerca perciò di carpire le generalità dell’ignara protagonista di turno: le sue abitudini, il suo indirizzo. E dall’abuso verbale alla violenza fisica, il passo può essere breve. Andrea P. è un habitué del gruppo Giovani fighette per porci bavosi (11 mila membri) e carica il file jpeg di una ragazza castana in costume sul letto: “Altra bella fighetta” è il suo contrassegno da gentleman. Daniele minaccia: “Io la rompo una cosi”. Un altro: “Per i capelli: bocca aperta, pene fino in gola”. E la fantasia di stupro è servita. L’abisso è vicino anche in Scatti per le strade italiane e non. Riccardo V. sciorina il suo atout: una ragazza di spalle in supermini jeans al supermercato. Si infuriano tutti. Giulio: “Una zoccoletta”. Uno sulla settantina: “Merita di essere sbattuta per bene a pecora”. Claudio: “Sto arrivando troia”. Nel frattempo, Marco da Napoli: “Mia cognata riposa inconsapevole di non essere sola” et voilà due immagini dell’attempata parente intenta nella siesta pomeridiana. Tanto basta a fomentare gli animi. E c’è chi vomita oscenità da bagno pubblico all’indirizzo fotografico di ragazzine che paiono minorenni. L’articolo 167 del codice della privacy prevede la reclusione da uno a sei mesi per chi pubblica foto senza consenso. Ma di fatto viene garantita l’impunità a questi nuovi primitivi che vedono “zoccole e vacche” ovunque. Tante donne soffrono in silenzio, e l’umiliazione del cyberbullismo a sfondo sessuale si mescola alla paura e alla frustrazione. Denunciare alla polizia postale sembra inutile, e su Facebook nessuna grande campagna di pulizia e polizia interna è in corso. L’importante, si sa, è rispettare i suoi “standard specifici”. La dignità femminile non fa parte dell’algoritmo. 

Fonte: espresso.repubblica.it