Ogni anno in Italia 5mila donne in età fertile si ammalano di cancro. E la maggior parte di loro pensa di dover dire addio per sempre alla maternità. In realtà, le donne in gravidanza cui viene diagnosticato un tumore non devono necessariamente rinunciare a diventare madri. E per coloro che sono guarite, la gravidanza non è preclusa.
«Per troppe donne ancora un trattamento oncologico significa dire addio alla possibilità di diventare madre. Quest’equazione è in moltissimi casi sbagliata», ci ha spiegato la dottoressa Giorgia Mangili, responsabile dell’oncologia ginecologica del San Raffaele. Grazie a lei, proprio al San Raffaele è stata istituita una struttura all’interno del Centro Natalità e dell’Unità di Ginecologia e Ostetricia dedicata alla fertilità in oncologia e alla sua preservazione. I dati dell’ incidenza dei tumori in gravidanza sono 1 caso ogni 1000-2000 gravidanze ma c’è da dire che il cancro è una malattia dell’età avanzata e l’età media della prima gravidanza oggi è arrivata sui 34-35 anni, quando è più facile una diagnosi di cancro alla mammella. Inoltre, le capacità funzionali dell’ovaio si riducono nel tempo e il calo di fertilità è continuo, con la riduzione della riserva ovarica e della qualità degli ovociti.
TRATTAMENTI ONCOLOGICI E GRAVIDANZA, È POSSIBILE
Una diagnosi di cancro durante la gravidanza non significa necessariamente un conflitto materno-fetale tale da imporre un sacrificio del feto oppure della madre, insomma che si debba scegliere tra la salute dell’uno o dell’altra. «Oggi è possibile trattare la mamma e salvare il feto» spiega la dottoressa. Ad esempio, in caso di tumore al seno, la chirurgia non è incompatibile con una gravidanza in corso e lo stesso dicasi della chemioterapia che, in alcuni casi, può essere somministrata nel secondo e terzo trimestre senza danni allo sviluppo cognitivo e motorio del feto. Uno studio, apparso sul New England Journal of Medicine, ha confrontato i bambini nati da mamme sane con bambini nati da 129 mamme sottoposte a chemioterapia negli ultimi sei mesi di gestazione.
Dopo averli seguiti fino all’età di tre anni, i ricercatori hanno concluso che la «chemioterapia non da gravi effetti negativi sulla crescita postnatale o sulla funzione cognitiva o cardiaca. I nostri dati suggeriscono che la diagnosi di cancro durante la gravidanza non è necessariamente un’indicazione ad interrompere la gravidanza».
Il rischio è quello di un parto pretermine, con i danni che può indurre sul nascituro. A volte, comunque, precisa la Mangili, «la prematurità può essere evitata, se le condizioni della gestante lo permettono». In altri casi, la decisione terapeutica può andare verso un posticipo dell’inizio delle cure, che non sempre devono essere immediate. Insomma, non esiste una scelta unica e inevitabile.
UN FIGLIO DOPO UN TUMORE
Avere un figlio dopo aver avuto un tumore (in particolare in pazienti affette da tumori ormono-sensibili) non è, come si è sempre pensato, rischioso per la mamma che può con sicurezza intraprendere e portare avanti una gravidanza. «La letteratura scientifica mostra che la prole generata da madri che hanno fatto la chemio non ha disturbi cognitivi» spiega la Mangili. Il problema è che, molto spesso, una volta sconfitto il tumore accade che la donna si ritrovi sterile a causa delle terapie, senza esser stata informata sulle potenziali alternative di cui potrebbe beneficiare. «Eppure, secondo uno studio suCancer solo il 5% viene informata della possibilità di procreare e il 4% di essere inviata a tecniche di preservazione della fertilità» denuncia la dottoressa. Per non comprometterne la funzionalità ovarica, e non solo in una prospettiva di maternità ma anche per non andare in menopausa precoce, è necessario discuterne alla diagnosi e non aspettare degli anni.
PRESERVARE LA FERTILITÀ
Che fare? Una delle opzioni a disposizione della donna è la crioconservazione degli ovociti, possibile per le under 38 a meno di controindicazioni oncologiche o di medicina riproduttiva. «Oggi non esiste più alcun ostacolo legato al fattore tempo; è, infatti, possibile in ogni momento del ciclo eseguire la stimolazione ormonale necessaria al prelievo» spiega la Mangili, come ha dimostrato anche un recentestudio della dottoressa. In alternativa, anche per le bambine, «si può crioconservare il tessuto ovarico e re-impiantarlo in sede successivamente, consentendo così il ripristino della funzionalità» spiega la dottoressa che precisa «è questa una tecnica sperimentale che sta dando buoni risultati, tanto che si sta lavorando alla possibilità di far maturare in vitro i follicoli prelevati dal tessuto ovarico di modo tale da non reimpiantare l’intero tessuto».
Sono tutte soluzioni che richiedono strutture organizzate con equipe multidisciplinari dove il ginecologo oncologo, il patologo della gravidanza, il medico della riproduzione, il neonatologo e lo psicologo mettano insieme le proprie competenze e i propri linguaggi.
Quello dell’oncofertilità dunque è un tema di cui parlare maggiormente affinché le donne stesse siano informate sulle possibilità tra le quali dovrebbero poter scegliere in caso di diagnosi di tumore durante la gravidanza e in caso di gravidanza dopo aver avuto un tumore. «È necessario un cambio di mentalità: prima, durante e dopo un tumore, la maternità non è impossibile – conclude la Mangili – Noi dobbiamo aiutare le donne, così come ciascuna di loro ha il diritto di sapere che cosa è possibile fare nella propria condizione».
L’APPUNTAMENTO A MILANO
Di questi argomenti si parlerà ad un incontro aperto al pubblico organizzato da Salute allo Specchio, progetto dell’IRCCS Ospedale San Raffaele dedicato al benessere psicofisico delle pazienti oncologiche e intitolato «Ho un tumore, sarò mamma», che si svolgerà domani – 19 gennaio – alle 18 presso la Casa dei Diritti del Comune di Milano, dove a seguire verrà inaugurata la mostra fotografica Oltre lo specchio. Camei di Donne di Guido Taroni e Marco Casiraghi.
Fonte: lastampa.it