«Giovani autonomi solo a 38 anni». Fondazione Visentini propone più tasse sugli anziani

Cattive notizie per i teenager italiani: il tempo necessario per raggiungere l’autonomia – casa, famiglia e lavoro, per intenderci – si allunga sempre di più. Secondo uno studio della Fondazione Bruno Visentini presentato oggi all’Università Luiss a Roma siamo passati dai 10 anni necessari ad un giovane ventenne per costruirsi una vita autonoma nel 2004 ai 18 anni complessivi per raggiungere lo stesso risultato nel 2020 (arrivando quindi a 38 anni), e addirittura 28 anni nel 2030. In pratica, le ultime generazioni entreranno davvero nell’età “adulta”, secondo i parametri classici dell’autonomia, solo al giro di boa dei cinquant’anni. Tassazione tenga conto della “maturità fiscale” Oltre ad una stima pessimistica dei tempi dell’autonomia giovanile, il Rapporto 2017 su “Divario generazionale tra conflitti e solidarietà” indica anche qualche ricetta per fronteggiare l’emergenza generazionale e ridurre la forbice di opportunità tra giovani e silver boomers, che oggi godono di una confortevole vecchiaia. Il primo passo dovrebbe essere la «una rimodulazione dell’imposizione che, con funzione redistributiva, tenga conto della maturità fiscale», si legge nel Rapporto, che piazza l’Italia al penultimo posto in Europa per equità intergenerazionale «facendo meglio solo della Grecia». Per superare il divario generazionale che caratterizza occorrono anche incentivi fiscali mirati e «la creazione di un adeguato Fondo di solidarietà per le politiche giovanili in grado di rifinanziare molte delle misure messe in campo dal Governo» e «la creazione di strumenti finanziari in grado di moltiplicare l’effetto». “Patto tra generazioni” a sostegno dei giovani Tra le proposte al legislatore avanzate dalla Fondazione Visentini c’è poi quello di mettere in campo un intervento normativo organico che ponga la questione giovanile al centro dell’agenda politica (una vera e propria Legge Quadro sulla questione giovanile), e soprattutto introdurre in Italia un «contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose». Questo, sottolinea lo studio, sarebbe «doveroso, non solo sotto il profilo etico, ma anche sotto quello sociale ed economico». In pratica, «sarebbe necessario un patto tra generazioni» di durata triennale basato su un «contributo da parte dei pensionati nella parte apicale delle fasce pensionistiche con un intervento progressivo sia rispetto alla capacità contributiva, sia ai contributi versati». Il “patto tra generazioni” dovrebbe coinvolgere circa due milioni di cittadini pensionati “sottoscrittori”, chiamati a contribuire allo sviluppo di un altrettanto elevato numero di ‘Neet’ (i giovani non impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione). Fonte: ilsole24ore.com