A gennaio scatta l’unificazione dell’età per la pensione di vecchiaia tra uomini e donne con l’aumento di un anno per le dipendenti private e il passaggio a 66 anni e sette mesi. L’età per l’accesso alla pensione di vecchiaia sarà la più alta in Europa e il divario si accrescerà nei prossimi anni con l’adeguamento dell’età di vecchiaia all’aspettativa di vita e il passaggio atteso a 67 anni nel 2019. In Germania è previsto il passaggio a 67 anni per l’uscita nel 2030, in Francia dopo il 2022 e nel Regno Unito nel 2028.
Nel 2018 aumenterà anche l’età di accesso alla pensione di vecchiaia delle lavoratrici autonome (adesso fissata a 66 anni e un mese) mentre quella delle dipendenti pubbliche, come quella dei lavoratori uomini resterà fissata a 66 anni e sette mesi in attesa dell’incremento legato alla speranza di vita previsto per il 2019.
Nella gran parte dei paesi europei l’età per la pensione di vecchiaia è fissata intorno ai 65 anni con aumenti verso i 67 anni dopo il 2020 (in Danimarca nel 2022, in Spagna nel 2027, in Croazia nel 2038, in Austria 65 anni per le donne nel 2033).
Giovedì nell’incontro tra governo e sindacati previsto nel pomeriggio al ministero del Lavoro si parlerà anche dell’accesso alla pensione per le donne con la richiesta delle organizzazioni sindacali di eliminare le disparità di genere e di tenere conto della maternità e del lavoro di cura prestato dalle lavoratrici.
In pensione a 67 anni, ma non tutti.
Dopo la riunione di fine agosto dedicata alla pensione di garanzia dei giovani, domani i rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil torneranno a incontrare il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Al centro resta il tema della flessibilità in uscita delle donne e il nodo dell’innalzamento dell’età pensionabile legato alle aspettative di vita. Finora il governo non ha accolto le richieste di congelare l’automatismo che farebbe andare in pensione a67 anni nel 2019. Ma circola l’ipotesi di estendere la platea delle persone a cui l’incremento non si applica, inserendo i lavoratori che svolgono mansioni gravose. Opzione bocciata dai sindacati: «Sarebbe una misura inadeguata e insufficiente – afferma Roberto Ghiselli – Per noi si tratta di un tema generale e non si può pensare di individuare una platea minima di lavoratori esclusi dall’innalzamento dell’età pensionabile. Noi insisteremo nel chiedere di bloccare l’automatismo».
L’esecutivo non ha finora mostrato aperture, orientato piuttosto verso misure che favoriscano la flessibilità in uscita. In questo quadro si inseriscono le misure per le donne, che in base alla legge Fornero dal prossimo gennaio andranno in pensione un anno più tardi, allineandosi all’età prevista per gli uomini. Come si diceva, secondo uno studio Uil, già ora con 65,7 anni l’età di pensionamento delle donne è ai livelli massimi europei, dopo Irlanda (66), Portogallo (66,2) e Grecia (67), dove però esistono numerose deroghe. In media l’età si attesta in Europa a 63 anni e raggiungono i 65 anni le lavoratrici di Belgio, Cipro, Danimarca, Lussemburgo, Slovenia, Spagna nonchè Germania (65,4) e Olanda (65,3).
Alcuni stati prevedono l’allineamento dell’età pensionabile tra uomini e donne, ma in modo più graduale: in Austria l’innalzamento partirà dal 2024 e terminerà nel 2033 con il requisito di 65 anni attualmente in vigore per gli uomini.
A fronte delle difficoltà delle donne di maturare gli anni di pensione, l’esecutivo pensa ad una riduzione di almeno due anni dei requisiti contributivi per le lavoratrici che accedono all’Ape sociale . Tra le ipotesi circolate ma su cui vi è stata poi una marcia indietro, un bonus di contribuzione figurativa per ogni figlio. «È un tema da approfondire – fa notare Ghiselli – anche perché non si capisce se e come la riduzione sia legata al numero di figli. In ogni caso non può rappresentare la risposta a un problema più rilevante che riguarda tutte le donne», che hanno carriere più brevi, interrotte e meno retribuite.
«Nel 2018 l’età pensionabile delle donne sarà equiparata a quella degli uomini e sarà superiore al resto d’Europa – sottolinea il segretario confederale della Uil Domenico Proietti – Noi chiediamo che sia valorizzata la maternità e il lavoro di cura, non solo per le donne che possono accedere all’Ape sociale ma per tutte».
Fonte: ilsecoloxix.it