Le mamme pancine, quel vasto universo parallelo scoperchiato da Vincenzo Maisto (Il Signor Distruggere), rappresentano un fenomeno al quale si guarda da un lato con tenerezza e dall’altro con sgomento. Chi ha già fatto la loro conoscenza segue spesso con grande affiatamento i post segnalati dalle infiltrate di Maisto nei vari gruppi segreti di cui le protagoniste degli screenshot rubati fanno parte.
Per chi ancora non le conoscesse, queste sono alcune delle caratteristiche che accomunano le “mamme pancine” iscritte ai vari gruppi Facebook: i loro post sono ricchi di “orrori” ortografici e grammaticali; hanno spesso dubbi surreali e chiedono consigli medici; mostrano fotografie della pancia per chiedere se sia maschio o femmina; usano termini come “pancine”, “batuffole”, “mammine” e chiamano il ginecologo “gine” o la pediatra “pedy”; puntano ad allattare i propri figli fino ai 7 anni; danno un nome ai propri organi genitali e chiamano le mestruazioni “i giorni della rugiada” o “i giorni del barone rosso”; realizzano ciabatte con assorbenti, torte partitoritrici (che riproducono delle vagine da cui spuntano le teste insanguinate dei bambini) e gioielli con la placenta (nei casi in cui non la mangiano) o preparano manicaretti con il latte materno da offrire ai vicini; pubblicano spesso foto dei bambini nudi sui social e contano l’età dei figli in mesi e non in anni; se la prendono spesso con baby sitter maliziose e cameriere poco comprensive; in molti casi sono sostenitrici della causa no-vax e giudicano in modo severo le donne che non vogliono avere figli; stanno molto attente a non far specchiare i figli prima che vengano battezzati; hanno bambolotti reborn che pretendono vengano trattati da tutti come bambini veri; preparano il test di gravidanza con Ferrarelle, olio e curcuma; utilizzano contraccettivi d’emergenza come la Coca Cola o il “doccino”; hanno una scarsissima conoscenza del proprio corpo; quasi sempre, alla fine dei loro post, chiedono di non essere criticate e chiedono alle amministratrici del gruppo di bannare chiunque la pensi in modo diverso da loro.
All’alba del 2018 si fa fatica a credere che questi post siano reali. Eppure, oltre agli screenshot di alcune conversazioni private pubblicate da Maisto, la conferma arriva anche da due esperte con le quali abbiamo approfondito la questione, nel tentativo non tanto di deridere le mamme pancine – con le quali è anche difficile tracciare una linea di demarcazione rispetto alle altre madri e donne – ma nell’ottica di comprendere questo fenomeno e nel capire dove abbia origine il fallimento. Le due esperte in questione sono l’antropologa culturale e formatrice Chiara Carletti e l’antropologa ed educatrice alla sessualità Nicoletta Landi, autrice del libro “Il piacere non è nel programma di Scienze! Educare alla sessualità oggi in Italia” e socia fondatrice di ANPIA (Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia).
“La prima impressione che ho avuto” spiega la dottoressa Landi, “è che i racconti di queste mamme pancine fossero verosimili. Anche se quello che emerge è una profonda ignoranza rispetto alla conoscenza del corpo e della sessualità, le esperienze e i quesiti che vengono posti da alcune di queste mamme pancine non sono molto diversi da quelli che sento dalle adolescenti. Sono tutte problematiche che nascono da scarsissime conoscenze anatomiche; le “mamma pancine” mostrate sulla pagina Facebook del Signor Distruggere non sanno nulla dei contraccettivi, rivelano un sessismo introiettato e tendono a giudicare le altre donne attraverso questa loro lente.Sono molto aggressive nei confronti di chi viene percepito come diverso e la loro aggressività è funzionale a delimitare il gruppo, a stabilire chi è dentro e chi è fuori. Per questo le donne che non sono madri vengono giudicate: le mamme pancine hanno al proprio interno un preoccupante sguardo sessista. Ma quella che raccontano è per me la loro solitudine: sono probabilmente donne sulla trentina che hanno come unica soddisfazione e aspirazione la maternità e che raccontano uno spaccato di questa solitudine in questa sorta di forum online.Rivendicano uno spazio loro dove nessuno le giudichi, e questo credo sia legittimo. Per loro o sei pancina o sei contro le pancine. Sarebbe interessante capire chi sono, quanti anni hanno, dove vivono. Ma bisogna anche stare attenti: c’è una pancina in ognuna di noi. Molte delle cose assurde che leggo sulla pagina Facebook del Signor Distruggere le sento anche da alcune donne con cui parlo. Starei attenta a tracciare una linea netta tra le mamme pancine e le altre: il contesto in cui ci muoviamo è lo stesso. Nei loro gruppi spesso queste madri chiedono di bannare chi non la pensa come loro e si danno della “facile” l’un l’altra. Cercando uno spazio di confronto dove spesso generano conflitti: o sei una madre che comprende le altre madri o sei una che è lì per rompere le scatole. Le loro sono le classiche dinamiche di gruppo, puntano a costruire un’identità chiara al loro interno: se non sei interessata ai gioielli fatti con la placenta sei fuori dal gruppo. Anche se bisogna considerare che loro espongono cose molto intime della propria vita sessuale e coniugale: penso che meritino una forma di rispetto e curiosità”.
“Quello che emerge” commenta la dottoressa Carletti, “è un fallimento della scuola dal punto di vista educativo. L’articolo 14 della convenzione di Istanbul riguarda il ruolo della scuola sui modelli di genere. Io vedo la scuola come uno dei principali attori nelle politiche di genere, è il primo protagonista impegnato nella decostruzione dei modelli culturali: al contrario del sesso, il genere è qualcosa che viene “costruito” successivamente e che viene determinato da una serie di fattori. In questo senso la scuola deve impegnarsi nell’educazione, nella promozione delle pari opportunità a prescindere dal sesso e nell’inclusione sociale. Quello che emerge dalle pancine è un livello culturale estremamente basso, è come se per queste donne la maternità andasse a colmare un vuoto culturale e sociale, oltre alla mancanza di lavoro, di obiettivi, di aspirazioni personali. Tutto si riversa nella maternità. Le mamme pancine concludono sempre i loro post chiedendo di non essere giudicate, ma si contraddicono perché sono spessissimo le prime a farlo. In quello che scrivono emerge il loro giudizio nei confronti della società. La “diplomata al classico”, “la facilina”, “la maestrina”, quella con la “borsa Livorno” (Louis Vuitton, n.d.r.) sono per loro categorie sociali specifiche alle quali sentono di non appartenere. Queste donne si sentono inconsciamente escluse e giudicano le altre in negativo. Il loro “no critiche” evidenzia un gap sociale, il fatto di sapere – a livello inconscio – che stanno chiedendo qualcosa di strano”.
“Un’altra cosa che mi ha colpito” sottolinea Carletti, “è l’esigenza di lavare via “lo sporco”. Lì c’è proprio una concezione sbagliata del corpo dal punto di vista biologico. Il lavare via lo sporco è un aspetto fortemente simbolico in antropologia perché è legato a tutta la questione di puro e impuro, affrontato da Mary Douglas in “Purezza e pericolo”. Tutto ciò che culturalmente o religiosamente viene considerato impuro comporta il pericolo di contaminazione. Questo ha una connotazione ancestrale. Anticamente tutto ciò che usciva dal corpo – dal sangue al liquido seminale – veniva considerato fonte di impurità. Nei testi ebraici, in particolare nel Levitico, c’è tutto questo ed è legato al mantenimento dell’ordine sociale. Poi però le società si sono evolute e si stanno evolvendo, ma le mamme pancine sembrano attaccarsi a concezioni ormai anacronistiche, ma pur sempre funzionali a rivendicare uno specifico senso di appartenenza”.
“Anche il rapporto di coppia, per queste donne, è caratterizzato dalla totale mancanza di dialogo” prosegue Carletti, “e il sesso viene ancora visto come un dovere nei confronti del marito (da assolvere chiudendo gli occhi forte forte, n.d.r.). La mancanza di comunicazione in queste coppie è totale. Immagina queste madri quali insegnamenti possono dare ai figli e alle figlie. Dai loro post emerge quanto il ruolo del padre sia inesistente nell’educazione. Al contrario, è estremamente importante che anche il padre abbia un ruolo nell’educazione dei figli, altrimenti continueremo a trasmettere loro l’idea che la donna sia l’addetta al focolare domestico, che la bambina può piangere perché a lei è concesso (da brava femminuccia, n.d.r.) mentre al bambino no. Fino a qualche decennio fa c’era ancora questa concezione e, in alcuni contesti, questa concezione persiste. Non è soltanto la madre quella a cui spetta la funzione di educare e cullare: il padre dovrebbe avere un ruolo identico affinché il bambino possa prendere il meglio da entrambi i generi. Un libro pubblicato nel ’73, “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti, è ancora attualissimo: ci sono tanti di quei condizionamenti e stereotipi che resistono ancora oggi”.
“Una possibilità per cambiare la situazione per me è data dalla scuola”, conclude Carletti, ” è la scuola che dovrebbe fornire gli anticorpi per correggere gli errori e i problemi che nascono all’interno delle famiglie e più in generale delle società. La costruzione dei ruoli – maschili e femminili – è un processo che inizia a partire dall’infanzia e varia da cultura a cultura. Durante questa fase ci sono vari stereotipi che possono condizionare l’apprendimento e bloccare bambini e bambine in definizioni specifiche che possono vincolare e limitare il loro agire nel corso della loro vita adulta. Interrompere questa catena di condizionamenti inconsci che si trasmette da una generazione all’altra è tanto complicato quanto necessario e questo compito spetta appunto alla scuola. L’adeguata formazione dei docenti è fondamentale per la costruzione di un pensiero critico che sia slegato dagli stereotipi di genere. Fin da piccoli i bambini devono essere educati al rispetto delle differenze di genere e delle pari opportunità. Le famiglie di queste mamme pancine non sono riuscite a spezzare quella catena di condizionamenti culturali che si trasmette da una generazione all’altra, ma ha fallito anche la scuola che non è stata in grado di fornire loro un’educazione adeguata. Tra quelle mamme pancine potranno anche nascondersi dei troll, ma queste storie sono assolutamente verosimili. La scuola oggi non deve commettere lo stesso errore, ma si deve mostrare preparata a diffondere politiche di genere e pari opportunità, che tengano conto delle reali intelligenze, talenti e competenze degli alunni. Dove fallisce la famiglia non deve continuare a fallire la scuola”.
Fonte: d.repubblica.it