Mamme DIY: faccio un figlio da sola

Nel suo libro “In her own sweet time”, Rachel Lehmann-Haupt le ha ribattezzate “DIY mums”, cioè mamme fai da te. DIYE lei, 40enne americana e professionista affermata, appartiene alla stessa demografica: donne di 30-40 anni che, a un certo punto della loro vita, senza un partner accanto, danno la priorità al fatto di diventare madri. “Quando la mia ultima relazione è finita, ho capito che, anche se avevo tutta la vita per trovare l’amore, non avevo tutta la vita per fare un figlio. Quindi, ho pensato che invece di cercare spasmodicamente una nuova relazione, potevo avere con un donatore il bambino che desideravo. Adesso, Alexander ha due anni e averlo è stata la decisione migliore della mia vita”, racconta l’autrice da San Francisco, dove vive e lavora come direttore creativo e fondatore della boutique letteraria StoryMade. Un trend in crescita: la possibilità di scegliere Lehmann-Haupt non è un caso isolato: dal 2007 al 2012, il numero di DIY mum negli Stati Uniti è cresciuto del 29% (dati Center for Disease Control and Prevention), in controtendenza al calo della nascite da madri single, tendenzialmente teenager e appartenenti alle minoranze. Le mamme DIY, secondo l’autrice, sono un monumento alla forza economica e alla possibiltà di scegliere delle donne contemporanee: “Anche il cambiamento della famiglia tradizionale aiuta la transizione verso una maternità “autonoma”: meno del 25% delle famiglie negli Stati Uniti, infatti, corrisponde adesso al profilo tradizionale di madre, padre e figli. La maggior parte delle famiglie, piuttosto, sono un mix di nuclei monogenitoriali, omosessuali, allargati e di figli cresciuti sotto il tetto dei nonni”. Se l’economia ha avuto un ruolo nell’indipendenza della donna, i media hanno contribuito a sdoganare questo tipo di maternità. “Quando è nato mio figlio, 35 anni fa, se una madre era single, c’erano solo tre ipotesi: che fosse vedova, divorziata o adolescente”, osserva Jane Mattes, fondatrice di Single Mother by Choice (www.singlemothersbychoice.org), un’organizzazione nata negli Stati Uniti per supportare nella loro scelta e nel loro percorso le madri che scelgono di avere figli da sole. “Le banche dello sperma c’erano già, ma le persone non capivano le nostre ragioni e chiedevano: “Cosa c’è di sbagliato con te?”. In realtà, le donne che fanno questo tipo di scelta sono donne di successo”. Ma qual è la parte più difficile di questa scelta? “Decidere. Nel mio caso, uscire dal perimetro di quello che avevo sempre pensato sarebbe stato il mio futuro: un matrimonio, un marito, dei figli”, risponde Lehmann-Hautp. Quello che ha fatto pendere l’ago della bilancia, nel suo caso, è stato raccogliere informazioni: “Documentarmi, leggere e scoprire che mio figlio non avrebbe risentito di questa mia scelta ha fatto prevalere le ragioni del sì”. Oggi questi dati sono raccolti nel suo saggio sulla fecondità on demand che ne ha fatto il punto di riferimento sull’argomento negli Stati Uniti (www.inherownsweettime.com). Nell’equazione, però, pesa molto anche l’organizzazione: “Al di là di un lavoro che mi garantisce indipendenza, ho parlato del mio progetto con i miei genitori che mi hanno assicurato il loro supporto, ho una rete di amici e vicini di casa che mi hanno sostenuta e aiutata e una au pair che mi aiuta a gestire la quotidianità. Per tutte queste ragioni, quando mi figlio è nato, essere una madre single non ha assomigliato a quello che immaginavo o temevo: trovarmi da sola la notte, senza aiuto e senza nessuno con cui condividere i suoi progressi”. Anche Mattes parla della rete sociale: “Ho sempre creduto che fosse importante per mio figlio crescere circondato da positive figure maschili: ha un padrino e altre uomini che gli sono serviti da modello. Oggi è un 35enne sposato e io spero felice”. Uno dei problemi da affrontare, però, è come si gestisce l’eredità di un donatore, quando il figlio, crescendo vuole sapere delle sue origini. “È una questione complessa che non si risolve in una domanda e una risposta. La conversazione va avanti per anni e anni, ma io ho sempre creduto che si debba dire la verità, nessuna verità fa mai male se è detta con amore”, risponde Mattes. È stato questo elemento, invece, la radice del dubbio per Simona D, professionista milanese, uscita da una storia importante a 40 anni: “È come se qualcosa fosse scattato in me: mi sentivo molto più libera dai condizionamenti e da quello che potesse pensare la gente delle mie scelte. Proprio mentre iniziavo a pensare di fare un figlio da sola, sono rimasta incinta in un rapporto occasionale. Sarei diventata una mamma single! Ma quello che pensavo fosse il sogno della mia vita, si stava rivelando un piccolo incubo: mi spaventava pensare che il mio bambino sarebbe cresciuto con la costante voglia di sapere chi fosse suo padre. È stato questo contrasto, che mi ha aiutata ad accettare il fatto che la gravidanza, dopo qualche settimana, si è interrotta naturalmente”. Per chi, invece, è una “thinker”, ovvero una potenziale madre single per scelta, Lehmann-Haupt ha un consiglio: “Cercate di capire come potreste riorganizzare la vostra vita e mettete le cose in prospettiva: non è una scelta così radicale, è solo un altro modo di avere una famiglia”. Fonte: m.repubblica.it