Molte cose affermate da Boeri sono corrette (vedi articolo Il congedo dei papà che aiuta le donne, ndr), ma su alcune è necessario chiarire. Se adottassimo la sua proposta si sancirebbe una volta per tutte che esiste la paternità e che i padri hanno non solo diritto al tempo da dedicare alla loro meravigliosa creatura, alla propria compagna e alla propria famiglia, ma il dovere. E’ una cosa bella, e simbolica, nascita come momento bellissimo da vivere che porta alla riorganizzazione della vita quotidiana di madri e anche padri.
Non dobbiamo però pensare che si tratti di una misura che punta al riequilibrio dei carichi di cura e a una maggiore condivisione tra madri e padri. Anche perché porterebbe al massimo un aiuto dei padri, visto che il padre si affianca alla madre. E’ dopo che si gioca la partita, con l’intervento dei padri da soli nella cura, anche quando la madre non c’è. Per raggiungere l’obiettivo della condivisione, ci vuole altro.
L’Italia è un Paese, dove la condivisione dei compiti di cura è cresciuta lentamente ed ancora non ha raggiunto livelli soddisfacenti. Il carico della cura è sulle spalle delle madri che in un terzo dei casi lasciano il lavoro a due anni dalla nascita dei figli. Il tasso di occupazione dei single e delle single è simile, ma al crescere del numero dei figli la forbice aumenta e per le madri, nonostante la legge dei congedi parentali, in molti casi la soluzione è uscire dal mercato del lavoro.
In questi anni l’asimmetria dei ruoli è diminuita, lentamente e più perché le donne hanno tagliato sul lavoro familiare, perché gli uomini hanno aumentato il loro contributo. Ci sono segnali positivi nelle coppie giovani con padre laureato in cui la donna lavora. Ma il nostro sistema non permette neanche ai padri che lo vogliono di condividere adeguatamente la cura dei propri figli in tutte le sue forme. Per questo il problema non può riguardare
solo il momento della nascita, momento speciale e straordinario; la questione delle politiche di conciliazione deve essere affrontata durante tutta la fase di crescita dei bambini e delle bambine.
Non è sui 15 giorni che si deve puntare per la condivisione ma sull’arco della loro vita da bambini. Vari sono i problemi che dobbiamo risolvere, quello della durata e retribuzione dei congedi che deve essere uguale per uomini e donne, quello culturale, quello della disponibilità di un insieme di misure di conciliazione.
Se la retribuzione resterà bassa, bassissimo ne sarà il loro utilizzo da parte dei padri, come attualmente, perché sono loro solitamente a guadagnare di più e questo penalizzerebbe la famiglie. Se non cambierà la cultura in azienda non si creerà un meccanismo per cui i padri siano invogliati a prendere i congedi, perché avranno sempre il timore di rischiare di perdere il posto di lavoro. Se non si studierà un sistema di misure flessibili che si affiancano ai congedi parentali, come il part time, il welfare aziendale, i servizi per l’infanzia, la condivisione della cura non sarà possibile neanche tra chi lo vorrà.
La cura è in fondo alle priorità di questo Paese da tanti, troppi anni. E’ sempre stata appannaggio fondamentalmente delle donne, che hanno rappresentato il pilastro del lavoro non retribuito. E hanno pagato un alto prezzo per questo. Ora non potranno più farsene carico come prima, e per questo dovremo rifondare il nostro sistema di welfare.
Una misura seppur buona, da sola non basta. E nonostante la crisi, dovremo trovare la strada per affrontare questa questione di fondo, che ha a che fare con il benessere di tutti i cittadini.
Fonte: lastampa.it