Significativa e importante novità al Convegno Nazionale per i preti e le coppie di sposi responsabili degli uffici diocesani di pastorale familiare e dell’associazionismo sul territorio, che si è svolto presso la Domus Pacis di Assisi dall’11 al 13 novembre.
Il convegno, interamente dedicato all’approfondimento dell’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia era intitolato “Vi occuperete di pastorale familiare”. All’interno del programma dei lavori – che prevedeva relazioni, testimonianze e laboratori di condivisione – per la prima volta si è parlato anche “dell’esperienza delle famiglie che hanno al loro interno persone con tendenza omosessuale (AL 250).
Quale formazione per sacerdoti e accompagnatori?”. Questo infatti era il titolo della relazione che è stata presentata dal gesuita p. Pino Piva, coordinatore nazionale per i gesuiti degli Esercizi Ignaziani in Italia e membro dell’équipe di “spiritualità delle frontiere” assieme a suor Anna Maria Vitagliani e don Cristian Medos, anche loro presenti con lui ad Assisi.
Padre Piva era stato qualche mese fa ad Albano Laziale, ospite del IV Forum dei Cristiani LGBT svoltosi nell’aprile scorso. Oggi, la sua presenza ad un convegno promosso dalla Cei per parlare dei suoi incontri di spiritualità secondo il metodo ignaziano rivolti a realtà di frontiera esistenziale (divorziati, rifugiati, coppie omosessuali) rappresenta un segno, se non di apertura, di progressiva attenzione da parte della Chiesa cattolica rispetto alla realtà Lgbt. Gruppi diffusi ormai sul tutto il territorio nazionale, non ancora integrati (con qualche eccezione) nella pastorale diocesana, ma che la Chiesa istituzionale sembra voler almeno comprendere meglio.
Durante il suo intervento p. Piva ha anche presentato la testimonianza di Edoardo Messineo, un giovane gay cattolico del gruppo romano “Nuova Proposta”, che ha fatto coming out con la sua famiglia e che ha raccontato il modo nel quale all’interno del suo nucleo familiare di cattolici praticanti è stato vissuto, compreso ed accolto il suo orientamento omoaffettivo. Il gesuita ha poi ospitato le riflessioni di Corrado e Michela, una coppia che fa parte del gruppo “Davide” di Parma, una realtà che riunisce genitori cattolici con figli LGBT.
I due, che non avevano potuto essere presenti ad Assisi, hanno affidato a padre Pino alcune riflessioni, che sono state proiettate attraverso delle slides: «Per prima cosa – hanno raccontato Corrado e Michela – dovremmo avere un sentimento di gratitudine perché nostro figlio/a si fida così tanto di noi da affidarsi a noi, da consegnarci la parte più intima di sé stesso: il suo cuore, pur sapendo bene che ci farà soffrire».
«Dobbiamo essere consapevoli che nostro figlio/a ha sofferto e sta soffrendo per la ricerca del proprio “se stesso”, della propria identità. Inoltre, in un’ottica di fede, sta soffrendo anche per unificare l’identità di “se stesso omosessuale” con l’identità di “se stesso credente”». A soffrire, però, sono stati inizialmente anche i suoi genitori: quello di Dio sul loro figlio – hanno infatti spiegato – è per loro «un progetto misterioso, difficile da decifrare, ben diverso da quanto avevamo pensato, anche per il timore che la società o la Chiesa non sappiano accoglierlo e nostro figlio/a ne possa soffrire. Tuttavia, passati attraverso la sofferenza e con la convinzione che comunque è un progetto d’amore per il bene nostro e di nostro figlio/a, abbiamo scoperto la gioia che deriva dall’accogliere tutto questo. Questo perché chiedendoci: “cosa vuoi Signore da noi?” e rispondendo a questa domanda, siamo diventati sposi migliori nonché genitori due volte. Inoltre aprendoci ad altri genitori per accoglierli nel loro vissuto e accoglierci gli uni gli altri, siamo diventati genitori tre volte. Per questo osiamo definirci “famiglie fortunate”».
Ai preti ed agli operatori pastorali i due chiedono «un atteggiamento generale ed esplicito di apertura e di accoglienza così che le famiglie che vivono al loro interno questa esperienza, possano rendersi visibili, abbiano il coraggio di farlo». Ma anche «che sappiano ascoltare, ascoltare, ascoltare. Che non abbiano paura di iniziare percorsi nuovi, anche se è difficile, di pastorale. Che siano inclusivi, sapendo accogliere ognuno nella propria bellezza e diversità, come dono prezioso unico e irripetibile dell’amore di Dio. Che ricerchino una o due coppie di genitori che vogliono mettersi in gioco per iniziare un dialogo di ascolto, di confronto, di preghiera, aperto alle scoperte impensabili che lo Spirito sa donarci. I genitori sono una presenza fondamentale, perché altri genitori possano sentirsi realmente capiti. Che sappiano inserire questa pastorale, nella pastorale ordinaria della loro parrocchia».
Perché, concludono Corrado e Michela, «il tempo del nascondimento, il tempo dell’ombra, il tempo della vergogna è finito: chi siamo noi per giudicare chi cerca Dio con cuore sincero nella condizione che gli è data? Chi siamo noi per impedire ad altri fratelli di vivere l’unica fede nel corpo unico che è la Chiesa?».
Fonte: adista.it